Palazzo Martinengo

1341 – La prima pietra

Il palazzo, conosciuto come Celeri-Martinengo, situato nel centro storico di Malonno, è il risultato di diversi interventi avvenuti nel corso dei secoli. Nel passato furono almeno tre le fasi di costruzione. La prima si può far risalire alla data incisa su una pietra angolare della torre: in numeri romani spicca l’anno 1341.

Questo riferimento temporale ci induce a ipotizzare che il manufatto risalga all’epoca viscontea e che sia stato realizzato dai Magnoni, potente famiglia presente a Malonno in quel periodo. La torre non aveva uno scopo difensivo, ma voleva testimoniare la potenza dei proprietari. Alta circa 24 metri, presenta una struttura muraria regolare, con tracce di ricostruzione all’altezza del tetto, dove si intravedono resti di merlature.

La benestante famiglia Magnoni è presente a Malonno nel XIV e XV secolo. Alcuni storici sostengono che provengano da Vione e nel 1336 erano ben radicati nel nostro paese. Altri studiosi ritengono che i Magnoni siano arrivati dalla Val di Scalve ed esattamente da Magnone, una frazione di Colere. Di fede ghibellina ed alleati dei Federici gestirono i loro affari (lavorazione del ferro, della lana e agricoltura) in relativa tranquillità. Ottennero diverse investiture nel territorio malonnese. Nel 1397 un componente della famiglia Magnoni era presente alla firma della pace tra guelfi e ghibellini al ponte di Minerva a Breno. Agli inizi del 1400 alcuni appartenenti alla famiglia si trasferirono a Cemmo e verso la fine del 1400 lasciarono spazio ai Celeri.

Palazzo Martinengo a Malonno.
Immagine di Radio Voce Camuna.

Famiglie Magnoni-Celeri-Martinengo

Agli inizi del XVI secolo, i Celeri sistemarono l’abitazione signorile e circondarono il palazzo di mura. Lo attesta la data del 1536 che ancora si vede sulla chiave di volta del portale del muro che si snoda dall’attuale via XXV Aprile. Con ogni probabilità il lato est del palazzo, che si affaccia su via S. Bernardino, fu realizzato successivamente. Lo possiamo dedurre consultando il testamento di Nicolino Celeri, redatto nel 1677. Il notaio, G. Battista Cismondi, nella premessa annota che Nicolino è “iacente nella camera delle case novamente fabbricate in contrada della piazza verso mattina”. È la conferma che il lato che si sviluppa su via S. Bernardino fu realizzato dai Celeri.   Agli inizi del 1700, forse Marcantonio Martinengo, convolato a nozze con Margherita Celeri, figlia di Agostino, realizzò la parte a Nord che collega la costruzione comprendente la torre con l’immobile che sorgeva su via S. Bernardino. Si otteneva così la forma attuale con un ampio cortile interno ed il portale d’ingresso sul lato sud.

Il palazzo ora non conserva più le fattezze originarie in quanto è stato riadattato in diversi punti ad abitazioni civili. Permangono, tuttavia, alcune stanze, sale e corridoi del 1700 sul lato Nord; alcune stanze di proprietà della famiglia Corazzina mantengono ancora le decorazioni a fresco. Anche alcune parti delle antiche abitazioni su via S. Bernardino sono degne di attenzione: in particolare una stanza rivestita in legno (Stua) e un’altra con soffitto affrescato, ma in pessime condizioni. Buona parte del lato nord del palazzo e alcune stanze che si affacciano su via S. Bernardino, di proprietà dei Corazzina, sono state acquistate recentemente (fine anni novanta) dall’amministrazione comunale di Malonno. Servono ora molte risorse ed un progetto mirato di ristrutturazione per riportare in vita un monumento che testimonia il passato del paese.

Il palazzo Magnoni-Celeri- Martinengo era l’abitazione principale delle famiglie citate che nel corso dei secoli hanno esercitato il potere politico, sociale ed economico in Malonno. Accanto al palazzo sorgevano altre abitazioni dove alloggiavano parenti e addetti ai vari compiti assegnati dai Signori. Il palazzo era servito da un acquedotto che incanalava una sorgente che si trova nella località Forno. L’acqua scorreva nelle scanalature di pietra, con le stesse modalità degli acquedotti romani. Alcuni resti in zona sono ancora visibili. All’interno del palazzo c’erano ampie stanze affrescate, camini per il riscaldamento e capienti cantine dove si custodivano diversi generi di sussistenza, frutto di affitti che venivano onorati in natura.

Maggiori informazioni nella sezione: I Celeri a Malonno, storia ed economia della lana e del ferro

L’affresco di Ferdinando del Cairo

Esisteva anche un salone spazioso dove si tenevano i banchetti e le feste. Sul soffitto del salone c’era un grande affresco che attualmente si trova a Breno nella sala dove si tengono le assemblee della Comunità Montana e del BIM. L’affresco denominato “La concordia coniugale”, della prima metà del 1700, è attribuibile a Ferdinando del Cairo (Casale Monferrato 1666- Brescia 1741); questa l’indicazione di Nicoletta Garattini, incaricata dalla Comunità Montana di Valle Camonica di procedere al restauro dell’affresco in parte deteriorato dall’infiltrazione di acqua. Così scrive nel programma di restauro nel mese di gennaio 2017. “L’affresco strappato dal soffitto di palazzo Martinengo, nel 1970 fu restaurato da Costantino Belotti e collocato al soffitto della sala dei convegni presso la sede del B.I.M. Venne staccato e riportato su tela e successivamente incollato ad una superficie di gesso e similare”. Nella relazione il tecnico restauratore sostiene che l’infiltrazione dell’acqua ha in parte scollato l’affresco dalla superficie di gesso e causato macchie al dipinto. Suggerisce poi gli interventi necessari. Se l’affresco fu realizzato nei primi decenni del 1700 possiamo ipotizzare che sia stato commissionato per festeggiare il matrimonio tra Margherita Celeri e Marcantonio Martinengo, celebrato nel 1719: anche il titolo attribuito al dipinto è un indizio a favore di tale ipotesi.   

La gita a Malonno di Eugenio Pedrini del 21 giugno 1918

Fino ai primi decenni del 1900 esisteva pure una pinacoteca con quadri e ritratti di personaggi della famiglia Celeri. Ne fa menzione un articolo pubblicato sulla rivista “Illustrazione camuna” del 21 giugno 1918- N. 6- Anno XV. Il pezzo, intitolato “Gita a Malonno” è stato scritto da Eugenio Pedrini che fa una relazione della sua visita al palazzo, effettuata nel settembre del 1916.

In questa descrizione il visitatore annota che nella stanza della “stufa” (Stua, situata al piano terra, a destra, prima di salire lo scalone d’accesso) c’è intagliato lo stemma dei Celeri ed appesi alle pareti ci sono diversi quadri che ritraggono vari personaggi con scritte esplicative ed esattamente: il primo dedicato a “ Gaspar De Celeris- Tribunus militum; il secondo ritrae Margherita Celeri con la seguente nota: “ Margarita nob. Donni Augustini De Celeris unica filia- Nob. Viro Marco Antonio Martinengo Comiti Barco- Nupta an. 1719- Depicta 1734; il terzo ritrae Agostino Celeri:

 “Augustinus De Celeris- Totius vallis camonicae moderator”.

L’autore ricorda, inoltre, che ci sono altri vari ritratti di monache e matrone della prima metà del sec. XVIII, dei quali non riporta le iscrizioni. Abbiamo, quindi, la certezza della presenza di uno spazio dedicato a quadri, non sappiamo se validi dal punto di vista artistico, ma sicuramente preziosi come fonte storica. Infatti la pubblicazione ci consente di conoscere l’anno di matrimonio di Margherita Celeri con Marcantonio Martinengo. Nulla sappiamo degli autori dei quadri e nemmeno il “turista” Pedrini ne fa cenno. E’assodato, invece, che non c’è più traccia dei dipinti descritti. Nella “stua” non ci sono ed anche gli ultimi proprietari (Corazzina) non sanno dare indicazioni. Si trovano nella casa di qualche discendente? Sono stati donati ad amici di famiglia? Sono stati ceduti a privati o istituzioni? Sono ipotesi che per ora non hanno trovato riscontro. L’unico ritratto conservato riguarda Gianbattista Corazzina, che nel 1810 acquistò due terzi del palazzo. Il dipinto in questione, collocato nella casa a Narcus (Lezza) è in possesso di Iso Corazzina che è residente a Brescia. Di esso, tuttavia, non si parla nella “Gita a Malonno”.

Tornando all’articolo di Pedrini apprendiamo altre notizie che vale la pena riportare. “L’antica residenza dei Celeri non ha subito vistose alterazioni e pennello classico dipinse nei volti ad arco schiacciato delle sale, delle camere e de’ corridoi balaustrate, mensole, cartelli e rabeschi in tutto simili al volto del presbiterio della monumentale Santa Maria in Lovere”. Chiara l’allusione alla provenienza dei Celeri, originari di Lovere, paese con il quale erano rimasti contatti e ricordi.  L’autore prosegue: “Il centro delle sale, ancor greggio, o non furono fatte le medaglie o ne sono state asportate le tele dipinte. Una sola camera ha affrescata la medaglia centrale rappresentante un fatto favoloso della mitologia”.L’ipotesi dell’asportazione dei medaglioni centrali affrescati è la più probabile, anche se nessuna testimonianza o documento ce lo conferma. Il visitatore Pedrini inneggia poi alla bellezza dello scalone d’accesso, delle porte, dei corridoi, delle finestre, delle feritoie, della scala a chiocciola. Nello scritto si fa riferimento al contributo che i Celeri apportarono nell’edificazione della parrocchiale (Eredità Leonida Celeri).

Sant’Agostino insegna la regola alle monache.
Affresco di Ferdinando del Cairo

La ricca ed ospitale Valcamonica

Infine parla dei Magnoni che governarono Malonno prima dei Celeri. La conclusione della relazione del viaggio è come uno spot pubblicitario: “Visitate Malonno per le bellezze naturali, artistiche come una delle migliori stazioni della pittoresca, ricca ed ospitale Valcamonica”.        

Famiglie Martinengo, Corazzina e Moreschi

Quando morì Margherita Celeri (1739) il marito, Marcantonio Martinengo ereditò tutto il patrimonio Celeri. Marcantonio ritornò a Brescia dove trovò la morte in un duello. (1750). L’eredità passò alla famiglia Martinengo e la gestione venne curata dal fratello Giulio Cesare Martinengo, che venne ad abitare a Malonno con la moglie. Alla sua morte (1779) il patrimonio venne in possesso degli eredi ed in modo particolare di un nipote che si chiamava, anche lui, Giulio Cesare Martinengo. Nel 1805 il nipote che risiedeva a Brescia vendette il palazzo e tutte le altre proprietà alla Società degli Originari per una somma complessiva di L. 104.220. (1) La Società degli Originari era costituita da tutti i capifamiglia del paese. Nel 1810 i due terzi del palazzo ed altri immobili furono acquistati da Gianbattista Corazzina. La restante parte del palazzo fu acquisita da Giuseppe Moreschi, sempre nel 1810.

Palazzo Martinengo durante i conflitto mondiali

Durante la prima guerra mondiale (1915-1918) il palazzo fu adibito ad alloggio per gli ufficiali dell’esercito. Nel periodo 1943-1945 fu sede dei repubblichini (Repubblica di Salò fondata da Mussolini) e dei tedeschi.

NOTE

Le notizie riportate sono state attinte da vari documenti che si trovano nell’archivio parrocchiale di Malonno, nell’archivio di Stato di Brescia, nell’archivio dei Padri della pace di Brescia.

(1)     L’atto della vendita del palazzo alla Società degli Originari del comune di Malonno è stato redatto dal notaio Pietro Paolo Scaglia di Brescia il 27 dicembre 1805, nella sua casa in contrada S. Barnaba. Precedentemente era stata predisposta una scrittura privata il 7 dicembre 1805. Erano presenti: Giulio Cesare Martinengo, figlio di Lelio, non ancora maggiorenne, il suo curatore Angelo Martinengo. Per la parte acquirente, cioè i rappresentanti della Società degli Originari erano Giuseppe Moreschi, Alberto Ricci, Bortolo Bonetti, Bortolo Moreschi designati procuratori dalla Vicinia con l’assenso unanime dei capifamiglia. I Martinengo vendono “Palazzo, case, beni piani e montivi, livelli perpetui…, miniere di vena di ferro, edificio del molino di grano, la settima parte dei diritti del forno ferro e sue adiacenze e utensili, beni ed effetti esistenti nei comuni di Malonno, Berzo, Sonico ed una miniera in comune di Loveno. Tutti i mobili esistenti nel Palazzo eccettuati spechi, placche, tappezzerie, quadri, armi da fuoco, da taglio, da punta antiche e moderne, busti ed armature di ferro, cristalli, ferraglie ed il tappeto sopra il tavolone nell’antisala, due letti, quattro capi di rame a scelta.”Una svendita totale del patrimonio appartenuto prima ai Celeri ed ereditato poi dai Martinengo.  L’acquirente Società degli Originari aveva l’obbligo di pagare i debiti dei Martinengo da estinguere entro il 1810 pari a L. 20.237,19 ed inoltre era obbligata a soddisfare i legati sottoscritti dai Celeri e precisamente: ogni anno si dovevano distribuire 17 pesi (136 Kg circa) di sale agli abitanti di Malonno; ai poveri erano destinati 2 quartari di segale ed infine si dovevano far celebrare 4 uffici religiosi nella chiesa di S. Lorenzo in suffragio dei Celeri.  L’intera operazione comportava una spesa di L.104.220. I pagamenti furono rigorosamente programmati: anticipo di L. 18.900; entro maggio 1806 L. 11.340; entro novembre 1806 L. 11.340; poi rate annuali di L. 10.600,10 per gli anni 1807, 1808, 1809, 1810. Il possesso pieno dei beni avverrà solamente dopo aver onorato il debito. Presenti e garanti dell’accordo furono G. Battista Lera di Brescia e Calvi di Edolo. Con tale atto la famiglia Martinengo usciva dalla storia di Malonno. Con l’avvento dei francesi in Valle i beni in possesso della Società degli originari furono incamerati dalla neonata Municipalità (Comune). ASBS- ANBS-F.13977- Atto n. 1549-Pietro Paolo Scaglia.

Angelo Moreschi